Fisici misurano la diminuzione di materia oscura dalla nascita dell’universo

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Scienziati russi dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca hanno scoperto che la frazione di particelle instabili nella composizione della materia oscura nei primi giorni dopo il Big Bang era del 2-5%. Lo studio è uscito sulla rivista scientifica internazionale Physical Review D.

Igor Tkachev (Dipartimento di Fisica Sperimentale all’INR) coautore dell’articolo, spiega: “La discrepanza fra i parametri cosmologici nell’universo attuale e in quello immediatamente successivo al Big Bang può spiegarsi col fatto che la quantità di materia oscura è diminuita. Per la prima volta siamo in grado di calcolare quanta materia oscura potrebbe essersi persa, e quale sarebbe la corrispondente proporzione della componente instabile”

Il primo sospetto che ci fosse una grande quantità di massa nascosta nell’universo risale agli anni Trenta, quando Fritz Zwicky scoprì “anomalie” in un ammasso di galassie nella costellazione della Chioma di Berenice: le galassie si muovevano come se fossero sotto la gravità di una origine invisibile. A tale massa nascosta, che si poteva dedurre solo dai suoi effetti gravitazionali, fu dato il nome di materia oscura.
Secondo i dati presi dal satellite Planck, la materia oscura ammonta al 26,8% di tutta la massa presente nell’universo; la materia “ordinaria” fa appena il 4,9% e il resto (68,3%) è energia oscura.

La natura della materia oscura rimane… oscura. Tuttavia le sue proprietà potrebbero aiutare gli astronomi a risolvere un problema sorto dopo la missione Planck. Tale satellite misurò con grande precisione le fluttuazioni della temperatura del Fondo Cosmico a Microonde (CMB), fase in cui l’universo si trovò 380 mila anni dopo il Big Bang. Tramite queste misure è stato possibile calcolare parametri cosmologici chiave. Confrontando questi valori con la velocità d’espansione dell’universo attuale, emerse che alcuni di questi parametri sono variati consistentemente, ad esempio la costante di Hubble (che descrive il tasso d’espansione cosmica), e anche certi parametri legati in qualche modo al numero di galassie negli ammassi. “Questa variabilità era ben al di sopra dei margini di errore conosciuti. Quindi o abbiamo a che fare con un errore ignoto, oppure la composizione dell’universo antico è significativamente diversa da quella attuale”, afferma Tkachev.

La curva continua corrisponde alla differenza tra gli spettri TT previsti nel modello DDM (con porzione instabile F=0.1 e fattore di Lorentz Γ=2000 km/s/Mpc) e nel modello ΛCDM. I punti con le barre di errore mostrano i residui dopo la sottrazione tra lo spettro di potenza misurato TT (modello ΛCDM) con i parametri di best fit dall'analisi di TT,TE,EE+lowP.

La curva continua corrisponde alla differenza tra gli spettri TT previsti nel modello DDM (con porzione instabile F=0.1 e fattore di Lorentz Γ=2000 km/s/Mpc) e nel modello ΛCDM. I punti con le barre di errore mostrano i residui dopo la sottrazione dello spettro di potenza TT misurato (modello ΛCDM) e i parametri di best fit dall’analisi di TT,TE,EE+lowP. Credit: MIPT.

La discrepanza può essere spiegata dall’ipotesi DDM (decacimento della materia oscura), che afferma che nell’universo primordiale c’era più materia oscura che poi successivamente è decaduta.

“Immaginiamo che la materia oscura constista di diverse componenti, come in effetti avviene con la materia ordinaria (protoni, elettroni, neutroni, neutrini, fotoni…) E che una componente consista di particelle instabili con una emivita molto lunga. Nell’era della formazione dell’idrogeno, centinaia di migliaia di anni dopo il Big Bang, quelle particelle erano ancora presenti nell’universo ma ora (miliardi di anni dopo), sono scomparse essendo decadute in neutrini o in ipotetiche particelle relativistiche. In tal caso, la quantità di materia oscura presente all’epoca ed oggi sarebbe diversa” spiega Dmitry Gorbunov, professore al MIPT e membro del INR, primo firmatario dell’articolo.

Gli autori dello studio hanno analizzato i dati di Planck confrontandoli con il modello DDM e il modello standard ΛCDM (Lambda-cold dark matter) che prevede materia oscura stabile. Tale confronto ha mostrato che il modello DDM si accorda meglio con i dati osservativi. I ricercatori hanno pure determinato un grosso limite al tasso di decadimento all’interno della DDM, imposto dai dati noti sulle lenti gravitazionali sulla CMB.

Utilizzando dati osservativi relativi a differenti effetti cosmologici, gli scienziati hanno potuto dare una stima della frazione di particelle instabili nella materia oscura compresa tra il 2% e il 5%.
“Questo significa che nell’universo attuale c’è un 5% in meno di materia oscura che durante l’epoca della ricombinazione. Non siamo in grado oggi di dire quanto rapidamente decadde questa porzione; la materia oscura potrebbe anche starsi disintegrando adesso, benchè ciò comporterebbe uno schema differente e ben più complesso” sostiene Tkachev.

L’articolo originale: A. Chudaykin et al, Dark matter component decaying after recombination: Lensing constraints with Planck data, Physical Review D (2016). DOI: 10.1103/PhysRevD.94.023528
Citazione: Physical Review D
Fornito da: Moscow Institute of Physics and Technology

Paolo Colona ]

http://phys.org/news/2016-12-physicists-loss-dark-birth-universe.html

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